
“D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.”
Tutti conoscono questi versi di Giacomo Leopardi, ma quanti fra i milioni di studenti e lettori della poesia hanno veramente compreso, al di là della riflessione malinconica dell’autore, di chi stava veramente parlando?
Quando mi sono imbattuto nel testo, al Liceo, ancora molte antologie si affannavano a spiegare (male) la storia di questo povero passero che ritrovandosi tutto solo cantava armoniosamente sulla torre di Recanati.
Ora, chi abbia fatto caso al canto del “passero (Passer italiae) sa bene che da quel piccolo becco più di qualche “cip” non esce; simpatico e intelligente, il nostro passero, ma di certo poco dotato dal punto di vista melodico.
Ma Leopardi, che a differenza degli umanisti di oggi conosceva le scienze naturali, si riferiva al “Passero solitario” (Monticola solitarius): imparentato con merli e tordi, come quelli ha un canto dolce ed armonioso.
Il passo successivo è realizzare che il Passero solitario frequenta ambienti molto vicini a noi; le rocce del Colle di Monsummano, ma più recentemente anche le torri dei borghi medievali e delle città come Firenze e Pistoia.
E se osservando sui tetti questo bellissimo uccello ci capita di incrociare un turista straniero, mi raccomando di evitare la ridicola traduzione letterale “Lonely Sparrow”; in inglese è un Blue Rock Thrush, che rende bene l’idea.
